venerdì 1 aprile 2011

A time to break ...Hip Hop.....le origini...



L'anima dei b-boy (breaker  boy) tutto ha inizio qui! Come sfondo i ghetti delle città e dei cartoni per base, a sostenere spettacolari evoluzioni e passi a tempo dei king della funk-music, come: JAMES BROWN, BOB JAMES, COMMODORES, AFRIKA BAMBAATAA, PLANET FUNK, L'INCREDIBILE BONGO BAND..
Il movimento hip hop ha le origini esclusivamente “street” con realtà dure, a contatto stretto con la rap music e le sue 4 fondamentali discipline spopola in america, base, nonché madre della cultura. Una di queste, la “BREAK DANCE”, ha le origini con “ROCK STEADY CREW” americana, una delle prime a portare la break sulla bocca di tutti con spettacolari beat e coreografie.
Questo mio articolo vuole portare a conoscenza di questa fantastica, nonché viva realtà. Spesso quando si sente parlare di rap o hip hop, saltano alla mente i cantanti più commerciali e l'hip-hop ballato nelle palestre (..a mio parere da “cani”) è lontano da ciò che è nato in strada.
“BACK, BACK, BACK IN THE DAY” cantava Curtis Blow; torniamo davvero indietro nel tempo?? Oppure ormai l'hip-hop è un industria di soldi?? E in Italia? Com'è la scena underground e cosa offre?
Anche l'Italia può vantare ottimi b-boy uno su tutti, che appena ha potuto ha fatto le valige per l'America, è Next One, veterano della scena degli anni d'uscita di questa cultura in Italia, nonché attuale produttore e dj; portatore di stile entra a far parte della “Rock steady crew” un mito per molti b-boy italiani, ma direi conosciuto solo da questi!
La scena italiana offre ballerini di break molto capaci, ma fanno fatica a emergere o rimangono nell'underground rispettando ciò che sono le origini?...Faremo un viaggio nel passato, nel presente e vi farò capire la fondamentale differenza tra strada e palcoscenico!



B-boy Neto






















 
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BASTA CON I VELENI DI STATO

L’ITALIA VITTIMA DELLE ARMI CHIMICHE FA SENTIRE LA SUA VOCE
NASCE IL COORDINAMENTO DEI COMUNI CONTAMINATI DAGLI ARSENALI SEGRETI


Il conflitto in Libia rilancia l’allarme sullo spettro delle armi chimiche, accumulate da Gheddafi in grande quantità. Ma ci sono molti comuni italiani che da almeno settant’anni sono vittime degli stessi veleni. Dalla Tuscia alla Lombardia, dalle Marche alla Campania, dal Lazio alla Puglia terreni, stabilimenti e discariche sottomarine continuano a ospitare l’eredità del colossale arsenale di armi chimiche creato dal fascismo e nascosto dai governi della Repubblica. Adesso un gruppo di associazioni e comitati ha deciso di riunirsi per chiedere che questa scia di morte venga spezzata, invocando che venga finalmente fatta chiarezza sui rischi di questa bomba sepolta nel mare e nel terreno del nostro paese.
Il Coordinamento Nazionale per il monitoraggio e la bonifica dei siti contaminati da ordigni bellici chimici inabissati o interrati durante e dopo il secondo conflitto mondiale si è riunito la scorsa  settimana nella sede laziale di Legambiente.

Il Coordinamento è formato da rappresentati di associazioni e comitati operanti nelle zone più colpite in Italia: Lago di Vico, Molfetta, Colleferro, Ischia, Pesaro e Cattolica. Presto entreranno a far parte del Coordinamento nuove realtà in rappresentanza di altre aree fortemente colpite in Lombardia, Piemonte, Lazio e Abruzzo.

Il problema di questi residuati bellici ha origini lontane ma effetti ancora attuali. L’arsenale chimico venne creato dal regime fascista all’inizio degli anni Trenta ed è stato il cuore di un programma industriale di armamento colossale, con impianti per distillare gas letali come iprite, arsenico e fosgene in decine di fabbriche costruite dalla Puglia alla Lombardia. Durante la guerra a questa sterminata riserva di ordigni mortali, solo in minima parte usata nelle spedizioni coloniali di Libia ed Etiopia, si aggiunse una scorta mostruose di bombe chimiche trasferita in Italia dagli Alleati. Alla fine del conflitto queste armi sono state nascoste e dimenticate, senza bonificare i siti dove si producevano o le discariche dove sono state sepolte. Una quantità colossale di ordigni è stata gettata in mare dagli americani davanti alle coste di Ischia e a quelle di Molfetta, dai tedeschi davanti a quella di Pesaro mentre l’esercito italiano ha continuato a custodire e sperimentare i gas letali nei boschi del Lago di Vico e persino nel centro di Roma, a pochi passi dalla Sapienza.
Queste armi sono state progettate per resistere nei decenni e mantengono ancora oggi i loro poteri velenosi, soprattutto l’arsenico che si è disperso nei suoli come dimostrano le analisi condotte dalle forze armate nella zona del Lago di Vico o gli esami degli organismi sanitari a Melegnano (Milano). Perché solo una minuscola parte delle strutture militari attive nel dopoguerra è stata parzialmente bonificata: la gran parte degli ordigni è stata nascosta in mare e in terra dal segreto.

Questa realtà è stata svelata nel volume-inchiesta “Veleni di stato” del giornalista Gianluca Di Feo, pubblicato da Rizzoli nel 2009, che porta a conoscenza documenti inediti e secretati e dà voce a denunce inascoltate e testimonianze dirette.
Grazie a questa pubblicazione, scrupolosa e mai smentita, molti comitati locali che avevano già iniziato un lavoro di ricerca e di denuncia sui danni ambientali e sulle conseguenze per la salute dei cittadini, hanno trovato la conferma a quanto sostenevano da tempo. Ma soprattutto hanno preso coscienza del carattere nazionale di questo enorme problema, tuttora nascosto alla maggior parte delle persone, e hanno deciso di unirsi in un Coordinamento Nazionale per rafforzare le azioni e le richieste di monitoraggio e bonifica portate avanti dalle singole realtà, tuttora eluse da laconiche risposte del Ministero della Difesa che continua a negare informazioni e collaborazione.
Il Coordinamento Nazionale Bonifica Armi Chimiche